Parte dai tempi di Murat l’annosa questione agraria e la riqualificazione turistica.
Costa Ripagnola, un'area in attesa di una grande trasformazione.
La storia della Puglia, una delle regioni più emblematiche del Sud Italia, è stata profondamente segnata da una serie di riforme agrarie che, nel corso di più di un secolo, hanno trasformato il paesaggio rurale e la struttura socio-economica della regione. Questi interventi, che vanno dalle riforme di Gioacchino Murat agli inizi del XIX secolo fino alle politiche agrarie del regime fascista e alle riforme fondiarie degli anni '50, rappresentano tentativi successivi di risolvere la questione agraria, uno dei problemi più complessi e persistenti del Mezzogiorno.
Il primo grande cambiamento agrario in Puglia dell’era moderna avvenne sotto il regno di Gioacchino Murat, cognato di Napoleone Bonaparte, che divenne re di Napoli nel 1808. Con l'obiettivo di modernizzare il Regno di Napoli, Murat introdusse riforme radicali, tra cui la “Legge dell'eversione della feudalità” del 1806, che abolì il sistema feudale, ponendo fine ai diritti che i nobili esercitavano sui contadini e sulle terre.
Questa legge liberò ufficialmente i contadini dalla servitù e permise di avviare un processo di redistribuzione delle terre, in particolare attraverso la confisca delle proprietà ecclesiastiche. Tuttavia, la redistribuzione delle terre non avvenne come sperato: molte delle terre espropriate finirono nelle mani di nuovi latifondisti o speculatori, lasciando irrisolti molti dei problemi strutturali che affliggevano la regione. Sebbene le riforme di Murat rappresentassero un importante passo verso la modernizzazione, la mancata redistribuzione efficace della terra perpetuò disuguaglianze e tensioni sociali che avrebbero continuato a influenzare la regione nei decenni successivi.
Il periodo fascista vide un nuovo tentativo di affrontare la questione agraria in Puglia, inserito in un contesto nazionale di modernizzazione e autarchia. La "Battaglia del Grano", lanciata da Mussolini nel 1925, rappresentò uno dei principali interventi del regime, mirato a rendere l’Italia autosufficiente nella produzione di grano e a migliorare la produttività agricola.
In Puglia, la politica agraria fascista si manifestò principalmente attraverso l’opera di bonifica delle terre, in particolare nel Tavoliere delle Puglie, un'area caratterizzata da vaste distese di terreno poco sfruttato. La bonifica idraulica e agraria, sancita dalla legge del 1928, portò alla costruzione di canali di irrigazione, strade, e nuove infrastrutture agricole, creando opportunità di insediamento per i contadini e migliorando la produttività agricola della regione.
Tuttavia, nonostante gli sforzi, i risultati furono ambivalenti. Sebbene la bonifica e la redistribuzione delle terre consentirono a molti contadini di accedere alla proprietà fondiaria, le strutture produttive rimasero dominate da grandi latifondisti, e la redistribuzione della terra non fu sufficiente a risolvere i problemi di povertà e disoccupazione nelle campagne pugliesi.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la questione agraria tornò al centro dell’agenda politica italiana. Nel 1950, il Parlamento italiano approvò una serie di leggi che diedero il via alla riforma fondiaria, un vasto programma di espropriazione e redistribuzione delle terre agricole, con l’obiettivo di spezzare il latifondo e migliorare le condizioni di vita dei contadini.
In Puglia, la riforma fondiaria degli anni '50 fu particolarmente incisiva, soprattutto nel Tavoliere delle Puglie, nell’Alta Murgia e nel Salento. Le terre espropriate furono suddivise in unità più piccole e assegnate a famiglie contadine, mentre furono realizzate importanti opere di infrastrutturazione, come la costruzione di strade, canali di irrigazione e case coloniche.
Questa riforma ebbe effetti significativi, portando a una maggiore equità nella distribuzione della terra e migliorando le condizioni di vita di molte famiglie. Tuttavia, la frammentazione delle terre spesso risultò in appezzamenti troppo piccoli per garantire un reddito stabile, e nel lungo periodo, molti contadini si trovarono ad affrontare difficoltà economiche, con parte delle terre redistribuite che finirono per essere vendute o abbandonate.
In questi ultimi anni, la zona di Costa Ripagnola, situata tra Polignano a Mare e Mola di Bari, a cui fanno riferimento le immagini, è una striscia costiera di grande valore naturalistico e storico. L’area è stata oggetto di grande interesse negli ultimi anni, tra cui la creazione del Parco Naturale Regionale Costa Ripagnola nel 2020. Il Parco mira a preservare il paesaggio unico della costa, caratterizzato da trulli vicino al mare, muretti a secco e antiche strutture agricole. Nonostante l'interesse ambientale, l'area è stata anche al centro di controversie legate a progetti di sviluppo turistico, che prevederebbe la costruzione di un resort turistico in questa area unica: una striscia di terra rossa tra il mare e la SS 16, l’arteria più importante della Costa Adriatica. Il progetto ha sollevato preoccupazioni da parte di associazioni ambientaliste e cittadini, preoccupati per il rischio di cementificazione della costa e la conseguente perdita del suo valore naturale. D’altro canto l'apertura dei cantieri la conseguente opportunità di sviluppo e occupazione e il turismo sostenibile, restano due annose questioni nelle mani degli amministratori.