Di-vino
Nonostante una delle credenze più diffuse collochi l’invenzione del vino in Egitto, le testimonianze archeologiche spostano la prima produzione del vino nella zona del Caucaso circa 10 mila anni fa. La più antica giara di vino mai rinvenuta (risalente al 5.100 a.C.) è stata scoperta infatti in un villaggio neolitico nella parte settentrionale dell’Iran mentre la più antica “casa vinicola” risale al 4.100 a.C. con sedein Armenia. Qui è stata infatti rinvenuta una grotta adibita alla fermentazione e produzione del vino, dove ancora oggi cresce spontanea l’uva selvativa.
Dal punto di vista della coltivazione, invece, la presenza della vitis vinifera, la pianta da cui ha origine la vite, è attestata in Cina fin dal 7.000 a.C. circa, in Georgia dal 6.000 a.C., in Iran fin dal 5000 a.C., in Grecia fin dal 4500 a.C., sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale.
Nel corso degli anni, sono state numerosi gli studi archeologici volti a confermare le diverse teorie sulla nascita del vino e a scoprire dove sia nato il vino. Le scoperte più recenti sembrano avvalorare la tesi più diffusa che vede nel Caucaso il luogo di origine del vino.
Le prime testimonianze fossili sulla comparsa della Vitis Vinifera, termine coniato da Linneo nel 1753, risalgano ad un milione di anni fa. I reperti riesumati nel travertino in Toscana, a Fiano Romano ed Ascoli Piceno attestano la natura indigena della vite in Italia, il carattere domestico della pianta, così come la conosciamo oggi.
Quindi le origini del vino precedettero la storia della scrittura e l’archeologia contemporanea è ancora incerta sui dettagli della coltivazione iniziale della vite selvatica. Si è ipotizzato che gli uomini primitivi raccogliessero i grappoli spontanei e, venendo a piacere il loro sapore zuccherino, ne iniziassero abitualmente la raccolta stagionale. Dopo pochi giorni dalla raccolta inizia il processo di fermentazione alcolica, per cui il succo sul fondo di un qualsiasi contenitore incomincia a produrre vino a basso contenuto di alcol. Secondo questa teoria le cose cominciarono a mutare attorno al 10-8.000 a.C.: furono infatti gli uomini del Neolitico a divincolarla letteralmente dagli alberi su cui era fortemente avvinghiata, potandola e rendendola idonea alla vinificazione quando, anche per loro, avvenne una metamorfosi: il graduale passaggio dal nomadismo alla vita stanziale.
E’ agli inizi di questo periodo che risale la scoperta del vino, o meglio, che accidentalmente il succo d’uva, a causa dell’alta temperatura, compirà la fermentazione in qualche vaso di terracotta o magari in otri di pelle di capra o cammello, per quanto il più antico recipiente conosciuto abbia 7000 anni e fu ritrovato sui monti Zagros, in Iran.
Nascita del vino
La parola vino nascerà dal vocabolo pontico “voino”, divenuto poi “oino” per i Greci e “vinum” per i Romani; una parola che è citata non solo nell’Antico Testamento ma addirittura nella prima opera letteraria, a caratteri cuneiformi, scritta dall’uomo: l’Epopea di Gilgamesh di Uruk, oggi Warka in Iraq, risalente al 3° millennio a. C.; l’opera non solo rende esplicito quanto il vino sia davvero presente nella civilizzazione dalla fondazione di Sumer, ma sostiene anche le teorie che vorrebbero la vite fosse già coltivata in Età Prediluviana: nel racconto viene infatti citato Utnapishtim, detentore del segreto dell’immortalità scampato al Diluvio Universale, insomma il Noè che la Bibbia vuole sia stato il primo a scoprire il metodo per produrre vino e che, arenatosi sul monte Ararat, piantò una vigna, bevendone il vino ed ubriacandosi, come riportato nella Genesi.
La vite fece parte della vita dell’uomo comune come il vino della vita religiosa: i Sumeri lo associavano all’immortalità e alla sessualità, venendo utilizzato dai sacerdoti quale simbolo sacrificale nelle ziggurat assieme al pane ancor prima dell’avvento dello Zoroastrismo e della Cristianità, per ingraziarsi i favori degli dei.
Nel II millennio gli Assiro-Babilonesi succedono ai sumeri anche grazie alla fusione culturale coi popoli di Accadia; nel Codice di Hammurabi preziose informazioni rivelano che i vigneti erano appannaggio della classe sacerdotale, che v’erano barche speciali adibite al trasporto dei recipienti di vino prodotto dai Fenici. E poi ancora tavolette d’argilla, bassorilievi e pitture funerarie descrivono le pratiche della viticultura e della vendemmia di questa epoca. Durante il periodo babilonese il vino rafforzò il suo ruolo religioso diventando addirittura l’elemento trascendentale per mettersi in contatto con la divinità attraverso la commistione di alcol, musica e danza.
Intanto Ninive, nelle cui vicinanze si presume sorgessero i Giardini Pensili di Babilonia voluti dalla regina Semiramide, era già rinomata per i suoi vini. Così come diritto esclusivo della nobiltà babilonese anche nell’Egitto del 4000 a.C. il vino era bevuto solo dai regnanti e dai sacerdoti, spillato nelle coppe grazie ai commerci esclusivi coi Fenici, ostacolati verso altri sbocchi commerciali dalle potenze navali cretesi e minoiche, cui si dovrà l’espansione della vite lungo le coste del Mare Nostrum e di cui si parlerà dopo l’invasione dei Popoli del Mare; la profonda conoscenza dell’agricoltura da parte del popolo delle piramidi e la ricchissima rete idrica sempre alimentata dal Nilo fecero attecchire presto la viticultura in quelle terre. Anche in Egitto il vino ebbe un ruolo predominante nella vita religiosa, soprattutto per il rito funebre: a Tebe un affresco tombale mostra tutte le fasi dalla vendemmia al trasporto fluviale; nello stesso corredo funebre dei faraoni, anfore di vino ne accompagnavano il sarcofago nell’ultimo viaggio verso l’aldilà. Dai Testi delle Piramidi e dai geroglifici, di cui il primo carattere a essere tradotto dalla stele di Rosetta nel 1822 da Jean-François Champollion, guarda caso, è quello che indicava il termine vino, si evince l’idea del paradiso egizio: un interminabile vigneto carico di grappoli dolci e profumati.