The Christmas Witch
Hai mai sentito parlare di Margheritella, la figlia del famoso Mago Greguro che viveva nella gravina chiamata Valle delle Rose a Massafra? Massafra, come buon parte della Puglia, ha una tradizione medievale di stranissime e misteriose figure: i masciari.
Si racconta che a Massafra, c'erano delle donne che praticavano rituali magici utilizzando speciali unguenti e intrugli e che, somministrando queste pozioni, erano in grado di far piegare, alla volontà di chi ne faceva richiesta, fidanzati, mariti e amanti. Potevano far allontanare due persone, fare del male ai nemici, insomma erano capaci di fare fatture e malocchi con effetti e sintomi di maleficio.
Accanto alle leggende ci sono testimonianze storiche. Intorno all'anno mille, nel villaggio rupestre sorto nella gravina della Madonna della Scala vi era la Farmacia del "Mago Greguro". E’ costituito da più vani scavato nella parete della gravina. Nella farmacia vera e propria si trovano tante piccole nicchie scavate, dove probabilmente il mago conservava le sue erbe con cui preparava le pozioni.
La leggenda narra che Mago Greguro aveva una figlia, Margherita. E si dice che fosse così tanto bella che per lei spasimavano molti uomini, provocando l'invidia e la gelosia delle altre donne. Le malelingue invidiose cominciarono a mettere in giro la voce che Margheritella, - come la chiamavano - si serviva di filtri d'amore e pozioni malefiche per far innamorare di lei gli uomini senza che poi la stessa ricambiasse. La disperazione degli innamorati era tanto forte, fino a stare male.
L’accusarono di stregoneria la condannarono al rogo. A nulla valsero le deboli testimonianze di alcuni innamorati languenti d'amore e di mariti soggiogati dai suoi sguardi. Neanche il padre, mago Greguro, riuscì a salvare la figlia dalla dura sentenza che le era stata inflitta.
Ed ecco che, mentre si disperava, terrorizzata, legata al palo con il crepitio delle fascine che bruciavano sotto di lei, arrivò il superiore del monastero bizantino di Massafra, l'Igumeno Anselmo, a salvare la fanciulla e costui cominciò a rimproverare severamente gli abitanti del villaggio, soprattutto le donne, di credere alle superstizioni.
Liberata così dalla pena, pensò bene di ritirarsi con il padre nella gravina e a dedicarsi alla profonda conoscenza delle piante e erbe officinali, che lì crescevano in gran quantità e varietà.Mito, tradizione popolare, magia, mistero, folklore, fantasia, tutto quello che vogliamo ma la realtà è un'altra: Margheritella, come il padre, aveva una specifica conoscenza delle proprietà delle erbe e delle piante medicamentose.
La farmacia del mago Greguro - Gravina della Madonna della Scala - Massafra
Il Medioevo, epoca in cui si colloca la storia di Margherita è un periodo nel quale la malattia aveva significati magici come anche l'idea di cura che si intrecciava in modo inequivocabile alla storia della donna (donna come la Befana!), da sempre dedicata alla conoscenza medica erboristica.
Nelle teogonie antiche dell’area mediterranea, gli elementi naturali e i fenomeni appartenenti alla sfera della procreazione e della fertilità erano filtrati da una visione “di genere”, contraddistinta da una predisposizione all’osservazione, al rispetto, all’umiltà e alla pratica empirica.
Potnìa (Signora), dea matriarcale indoeuropea, esercitava la propria autorità sul mondo della natura, esperta conoscitrice delle forme viventi e dei meccanismi della vita; il maschio temeva questi processi segreti e preferiva non conoscerne quali “misteri” nascondessero.
Questa differenziazione delle mansioni si radicalizzò durante la fase preistorica, ma era destinata ad incrinarsi durante l’Età del Bronzo, che vide il passaggio da una società fondata sui valori del matriarcato, ad un assetto patriarcale e guerriero. In quel momento gli dèi patriarcali comparvero, le dee, divenute mogli, amanti, figlie d’immortali, venivano private dell’originario potere della grande madre, mantenendo solo gli ultimi riflessi di potere.
È questo il terreno che prepara l’estromissione del sapere femminile che, in opposizione al pensiero dominante, sarebbe stata accentuata, ma non generata, dall’avvento del Cristianesimo.
L’età classica, fossilizzata sul dominio della ragione, scalzava l’antica percezione magica e mistica dell’esistenza delle donne e cominciò a farsi strada l’idea che il sapere femminile si cibasse di una dottrina occulta, esoterica, associata ad un meccanismo ingannevole al servizio del sovvertimento dell’ordine naturale dell’universo.
Questo sapere inizia a scivolare nella clandestinità, con particolare riguardo al campo della medicina e della sapienza fitoterapica. La conoscenza erboristica femminile era stata tramandata finora attraverso le pratiche quotidiane relative alla preparazione dei cibi e dei medicinali usati per la cura della famiglia.
Si trattava di saperi trasmessi oralmente, da madre in figlia e, poiché si perdeva nel tempo l’origine di quegli insegnamenti, questi saperi furono attribuiti a rivelazioni di origine divina, concesse dalle dee degli elementi, da semidee dedite alle pratiche sacerdotali e divinatorie o alle arti magiche.
Per secoli queste rappresentazioni hanno arricchito l’immaginario popolare che ruotava attorno alla medichessa, in cui si ritrovavano figure mitologiche e simboliche. In realtà, la conoscenza e l’uso delle erbe era parte fondamentale del corredo della conoscenza e dell’educazione di una giovane donna. Nella società greca la sposa aveva il compito di occuparsi personalmente della cura della salute dei componenti della famiglia, servitù compresa.
La dea, la maga, la profetessa, archetipi della donna guaritrice che riempiono la mitologia e che hanno lasciato un segno nell’immaginario della saggezza femminile, sono entità di passaggio tra il mondo primigenio degli dei e quello degli uomini.
Questa è l’eredità che oggi ci porta a celebrare la Befana, l’Epifania e la sua importante eredità storica e culturale. L’origine e la tradizione la legano ai riti propiziatori della fertilità che presero forma fra le popolazioni italiche nel X-VI secolo a.C, oltre che il termine epifania letteralmente significa “manifestazione, presenza divina, apparizione”.
La credenza voleva che il 6 gennaio, 12 notti dopo la celebrazione del Sol Invictus (che ricorreva il 25 dicembre, data in cui in seguito venne stabilito il Natale cristiano), delle ninfe volassero al di sopra dei campi benedicendo il raccolto. Sovente queste entità benefattrici vennero associate alla dea Diana - divinità non solo della caccia, ma anche dei cicli lunari e delle coltivazioni - e alle sue ancelle, altre volte alla divinità minore Sàtia o ad Abùndia.
L’avvento del cristianesimo non riuscì a soffocare questa celebrazione, tuttavia l’immagine della divinità venne trasmutata in quella di una strega, benché benevola. Da questo derivano le fattezze grottesche della vecchina e il suo abbigliamento.