Santi in viaggio dal vicino Oriente
E’ incredibile come la cultura della Puglia sia interconnessa con il vicino Oriente, che è stato amico e nemico a seconda dell’epoca storica a cui facciamo riferimento, e che ha influenzato così tanto il nostro territorio.
La Storia insegnata a scuola purtroppo non si sofferma sulla geo-localizzazione degli avvenimenti, perché lo sguardo è ovviamente rivolto al generale e deve essere d’insieme. Non mi piaceva studiare la storia a scuola, non ne comprendevo l’importanza, ma soprattutto non riuscivo a collocarla vicino a me, non la trovavo nei posti che conoscevo. Sono rimasta folgorata quando ho iniziato a studiare la storia della mia terra per spiegarla ai turisti. Tutto si è collocato al suo posto, e sono riuscita a collocare la Storia nella mia storia. Voglio parlarvi di un luogo dove la Storia è passata e ne ha lasciato segni straordinari.
Ci sono moltissime immagini sacre nelle chiese pugliesi e moltissimi affreschi nelle chiese in rupe che non hanno nulla a spartire con la tradizione pittorica occidentale: sono ispirazione bizantina. Per comprendere come sia accaduto dobbiamo necessariamente volgere lo sguardo agli avvenimenti storici accaduti nella sponda opposta dell’Adriatico.
Nella Chiesa d’Oriente le immagini non avevano soltanto una funzione decorativa, ma erano il centro della vita liturgica. Così, verso la metà dell’VIII secolo, nell’Impero bizantino nacque un movimento politico-religioso noto come iconoclasta, secondo il quale la venerazione delle icone era da respingere perché assimilabile all’idolatria, e questo determinò una grave crisi religiosa che colpì tutto l’Oriente. Nell’Impero Bizantino si sentiva infatti forte il richiamo delle altre grandi religioni rivelate come l’ebraismo e l’islamismo, che proibivano la raffigurazione della divinità.
A partire dall’ VIII secolo d.C. la dottrina islamica basata sugli hadith (racconti su ciò che ha fatto e detto il profeta Maometto) giudicò sfavorevolmente la rappresentazione della figura umana, prediligendo la grazia dell’alfabeto arabo che abbonda in tutte le opere architettoniche. La calligrafia è la manifestazione artistica più importante dell’Islam e di conseguenza il calligrafo è l’artista più considerato dal punto di vista sociale (bisogna rispettare colui le cui parole sono così belle), perché dà forma alla parola divina che possiede la medesima funzione iconografica svolta dalle immagini nell’arte occidentale.
Gli iconoclasti, richiamandosi al Cristianesimo delle origini, si dichiaravano contrari al culto delle immagini, che – sostenevano – diffondeva l’ignoranza e la superstizione tra il popolo. Perché si riteneva che l’immagine sacra era la rappresentazione stessa del divino: il divino abitava l’immagine. E questo in special modo per la prima raffigurazione della Madonna che la leggenda vuole essere stata dipinta - dal vero - da San Luca.
La controversia acquisì una dimensione politica quando salì al trono a Bisanzio l’Imperatore Leone III detto l’Isaurico che regnò dal 726 al 741 d.C., il quale ordinò la distruzione delle icone, sia perché il loro culto rappresentava un’autentica eresia sia perché risoluto a togliere potere ai monasteri dove si riunivano grandi masse di fedeli per la venerazione. In Occidente papa Gregorio II, appoggiato dai vescovi, si oppose con successo al decreto imperiale e sostenne, contro l’imperatore, l’iconodulia - dal greco, il culto delle immagini sacre.
Per porre fine alla lotta iconoclasta si promosse il secondo Concilio di Nicea, che sancì la netta differenza tra “venerazione” delle immagini – ammessa – e “adorazione” – inammisibile, perché solo Dio può essere adorato. Il Concilio chiarì inoltre che nelle immagini si venerano «le persone rappresentate» e non «le icone materiali» in quanto tali.
Così capi protestanti incoraggiarono la distruzione delle immagini religiose, in sintonia con quanto avvenuto secoli prima, ritenendole un’espressone pagana della fede. Oggetto di queste distruzioni furono non solo le statue e i dipinti di Cristo, della Madonna e dei Santi, ma anche le reliquie. In alcuni casi la furia distruttrice coinvolse intere chiese. Per salvare le icone, si sviluppò un grande movimento e vennero spostate in luoghi sicuri, uno di questi fu la costa adriatica dell’Italia.
Ci sono numerose storie legate all’approdo delle immagini o al loro ritrovamento miracoloso, o addirittura al viaggio fatto dagli angeli di intere cappelle che oggi sono custodite nelle nostre chiese. (La casa di Maria a Loreto, per esempio).
Icona della Madonna della Madi”, protettrice di Monopoli, dalle classiche linee bizantine, custodita nella Cattedrale. E’ una Odigitria, Odighítria, o anche Odegétria (dal greco bizantino Oδηγήτρια, colei che conduce, mostrando la direzione, composto di ὁδός «via» e ἄγω, ἡγοῦμαι «condurre, guidare», 2colei che mostra la via da seguire, il Cristo”.
La tradizione racconta che immagine sia stata posta in salvo su una zattera durante le lotte iconoclaste. L'imbarcazione di fortuna con il prezioso carico sarebbe approdata in città, la notte del 16 dicembre 1117. Per “madia” si intendeva zattera, l’imbarcazione di fortuna sulla quale ha attraversato l’Adriatico. Le assi di legno furono poi adoperate per completare il tetto della Cattedrale di Monopoli, che era in costruzione e che a lei fu dedicata.
Vi voglio raccontare di un insediamento davvero esemplificativo custodito nelle campagne di Monopoli: l’insediamento rupestre intitolato a Sant’Andrea e Procopio. Il culto per questi santi era nato in Oriente, e proprio a seguito delle vicende storiche, politiche, religiose e artistici tra la Puglia e l’area greco-bizantina, si diffuse in Occidente. Sant’Andrea è l’apostolo la cui devozione popolare è testimoniata dalla presenza di molti affreschi nelle chiese pugliesi. San Procopio da Cesarea è invece un santo militare molto venerato già in epoca alto medievale in Oriente, soprattutto tra le armate bizantine.
Centro storico di Monopoli con il suo porto proteso verso Oriente.
L’insediamento fu edificato come stazione di sosta lungo l’importante arteria costiera che da qui passava per giungere più a sud, a Brindisi, Lecce e Otranto. Una via frequentata da ogni sorta di viaggiatori, pellegrini, mercanti e soldati in partenza verso l’oriente.
Mappa della via Traiana (nota anche come via Appia Traiana, strada romana di epoca imperiale che collegava Benevento a Brindisi. Costruita tra il 108 e il 110 d.C. per volontà dell'imperatore Traiano, costituì una valida alternativa alla via Appia Antica.
La nascita dell’insediamento rupestre potrebbe risalire agli anni dopo il Mille. La città era allora governata da un conte normanno e subì nel 1042 la distruzione per opera delle truppe del catapano bizantino Maniace, inviato nell’Italia meridionale a fronteggiare l’offensiva normanna. La distruzione della città causò la dispersione della popolazione nelle campagne circostanti e la nascita di insediamenti in grotta ben mimetizzati sul fondo delle lame.
La lama dell’Assunta nasce nei pressi della linea ferroviaria Bari-Lecce, scende con andamento sinuoso sulla direttrice sud-ovest/nord-est e raggiunge il mare in contrada Capitolo di Monopoli. Ospita un casale rupestre, costituito da un sistema di grotte scavate in entrambe le pareti rocciose, e comprende una chiesa affrescata in posizione isolata, e una serie di cavità adibite ad abitazioni, frantoi, stalle e laboratori. La si raggiunge seguendo l’apposita segnaletica nella Contrada San Procopio, dopo aver superato un passaggio a livello e raggiunto la Masseria Rosati. La Lama è nella proprietà privata della Masseria. Il proprietario, Nicolino Pascale, erede della famiglia Rosati, è disponibile a guidare con competenza e passione la visita dell’insediamento rupestre e della masseria storica.
Ingresso della chiesa in rupe, sullo sfondo la Masseria Rosati.
Ci troviamo nelle immediate vicinanze dell'antica via Traiana. La scelta del posto fu strategica, in un periodo in cui l'instabilità politica era all'ordine del giorno. La viabilità consentiva di essere ben collegati al territorio circostante, ma nello stesso tempo era invisibile agli occhi nemici in quanto tutto il casale era situato al di sotto del piano di calpestio, trovandosi scavato nel fianco di una lama in un dislivello naturale del terreno. Il villaggio era stato edificato considerando il clima della zona, in modo tale da essere protetto dai venti umidi e poter sfruttare al massimo l’illuminazione ed il calore solare, e l’inversione termica assicurava un microclima ottimale e salubre all’interno del complesso.
Del villaggio rupestre sono ancora visibili molte grotte anticamente utilizzate come abitazioni, punti di ritrovo comune, stalle e depositi agricoli. La presenza di un magnifico ed affascinante frantoio ipogeo arricchisce il sito e fornisce importanti informazioni sulla vita degli antichi abitanti del posto. In esso sono presenti le strutture tipiche degli ambienti in cui si lavoravano le olive: le pietre delle macine, la vasca di decantazione dell’olio e gli antichi calendari incisi nella roccia allo scopo di scandire lo scorrere del tempo.
Le pareti di calcarenite erano semplici da scavare, realizzando con molta facilità quella che viene definita architettura al negativo: togliere materiale per realizzare i volumi, ampliando anfratti naturali, che consentivano anche una ottima tenuta termica del calore.
.All'interno del complesso, accanto a alberi d'ulivo secolari, è situata una delle chiese rupestri più belle di Monopoli. La grotta chiesa, "isolata" rispetto al resto dell’insediamento, presenta un’entrata a tripartita, formata da un portale principale affiancato da due porte laterali più piccole, sul modello delle chiese costruite. Strutturalmente edificata come una cripta, sotto il livello del piano di calpestio, presenta la classica divisione in naos e sacro bema, separati da un transetto litoide, l’iconostasi, e un doppio abside, nel classico stile bizantino.
La pianta della chiesa è ad aula unica, misura quasi 6 metri per 6, destinata ai fedeli, , fiancheggiata da nicchie votive affrescate e da un cunicolo di collegamento con una camera funeraria sulla destra, la zona presbiteriale è separata dal resto dall’iconostasi litoide. Il recinto che ospitava le sacre icone (iconostasi) introduce al bema, il presbiterio dove era officiata la liturgia. Il recinto ha due ingressi, ciascuno dei quali è affiancato da due finestre. Le due celle del bema si chiudono con le rispettive absidi.
Di grande interesse storico, culturale e antropologico è l’iscrizione incisa sulla facciata, collocata tra la lunetta e una finestrella, in cui il santuario è definito “templum” cioè “chiesa edificata”. Ricorda i promotori e finanziatori della chiesa, i santi di dedicazione, l’autore dello scavo e il vescovo che consacrò “hoc templum”. Recita così: “Hoc templum fabricare fecerunt Johannes, Alfanus, abbas Petrus, Paulus in onore sancti Andree Apostoli et sancti Procopii martyris per manus Joannis diaconis atque magistri et dedicatum est per manus domini Petri archiepiscopo secondo die intrante mense nobember. Hoc scripta fieri fecit Iaquitnus presbyter, filius suprascripti magistri per manus Rodelberti presbiteri“.
“Questo tempio fu costruito da Giovanni, Alfano, Pietro abate e Paolo in onore di sant'Andrea Apostolo e san Procopio Martire dalle mani di Giovanni diacono e maestro, e fu dedicato dalle mani di Monsignor Pietro arcivescovo sul secondo giorno del mese di novembre. Questo scritto è stato fatto dal presbitero Jaquintus, figlio del suddetto maestro, per mano del presbitero Rodelberto”.
Questo testo parla di integrazione ed interazione tra il mondo orientale e quello occidentale. I committenti delle cappelle, che potevano appartenere alla classe dei coloni, potevano essere piccoli proprietari o funzionari locali, affidavano la gestione del luogo di culto a un prete o a un monaco latino o greco, a seconda dell’incidenza del numero di fedeli di rito bizantino o latino. Durante il periodo della Bizantinocrazia le chiese e le comunità greche e latine avevo l’obbligo di vivere tranquillamente l’una accanto all’altra stimandosi e rispettandosi. In alcuni casi capitava che all’interno della chiesa si svolgesse un doppio rito per far fronte alle esigenze delle comunità greco-latine. Per la realizzazione della chiesa rupestre occorreva innanzitutto chiedere il permesso al vescovo locale, il quale avrebbe dovuto successivamente consacrare la chiesa.
Interno dell’aula con l’iconostasi litoide che separa l’area dove sostavano i fedeli. Nell’abside di destra un altare quadrato.
L’edificazione delle chiese avveniva in genere per mano di un arconte bizantino, il quale nonostante abitasse in città, desiderava recarsi frequentemente nella chiesa rurale che aveva fatto costruire o nel piccolo monastero campagnolo, per pregare i defunti, assistere alle celebrazioni liturgiche con la sua famiglia e infine essere sepolto. Il committente ha il compito di individuare a sue spese o alle sue condizioni il prete o il monaco per la gestione, e di procurare l’arredamento, la suppellettile liturgica e una porzione di terra per l’indipendenza economica. A volte la scelta del prete o del monaco dipendeva delle personali preferenze della committenza.
Cappelle laterali a destra dell’accesso, con l’ingresso al sepolcreto protetto dall’affresco di San Giorgio
E’ in questo contesto che divenendo centro di coesione del nucleo rurale e rispondente alle esigenze spirituali, religiose e sociali delle comunità medievali, sorgono le cripte rupestri. Sono testimonianza della vivacità del culto bizantino e forniscono preziose testimonianze della cultura architettonica e figurativa del territorio nel periodo compreso tra l’XI e il XV secolo d.C. Gli insediamenti rupestri della Puglia attirano moltissimo interesse artistico proprio per la presenza sulle pareti delle cripte rupestri di un ingente patrimonio pittorico di grande pregio, che purtroppo ancora oggi è quasi sconosciuto alla stessa Italia. È importante sottolineare il fatto che gli insediamenti rupestri della Puglia sono riusciti a sfuggire alla furia iconoclasta. Ad oggi le decorazioni pittoriche conservate all’interno delle cripte costituiscono uno dei capolavori dell’arte medievale europea, unico nel suo genere.
Gli affreschi ospitati all’interno delle grotte rupestri, appartengono a più cicli pittorici e sono stati realizzati tra il XII e il XVI secolo. Queste pregevoli testimonianze artistiche si ispirano a modelli bizantini, ma allo stesso tempo conservano tradizioni locali. È stata infatti identificata come corrente di pittura popolare autoctona, elaborata integralmente in questi territori, che si isola dalle grandi correnti bizantine.
I Santi Cosma, Cosimo, e Damiano. “Cosma”, in greco, vuol significare kosmos, ordine, modello, mentre Damiano deriva dal latino “Domini Manus”, cioè la “mano del Signore”. Provenivano dalle regioni dell’Egea e della Cilicia. Erano fratelli e medici, e curavano gli ammalati senza ricevere nulla in cambio, vengono chiamati “anargiri”, cioè senza denaro.
Il carattere di questi affreschi non è liturgico o didattico, ma essenzialmente devozionale, in quanto erano eseguiti a richiesta dei committenti, dei fedeli o a devozione dei monaci. Pertanto la decorazione della chiesa si concentra sulla semplice raffigurazione dei santi più venerati all’interno della comunità e soprattutto dai committenti. Talvolta, nella parte più bassa degli affreschi sono rappresentati in proporzioni minuscole i devoti donatori.
La chiesa era interamente affrescata anche se gran parte degli affreschi sta subendo un lento e inesorabile deperimento Tra gli affreschi, databili tra l'XI e il XIV sec. periodo di vita di questa chiesa, sono riconoscibili: S.Giorgio a cavallo, il cui culto si diffuse in Occidente nel periodo delle crociate, un santo forse Vescovo anonimo del quale sono visibili solo frammenti, S. Antonio in frammenti riconoscibile per la presenza della campanella, S.Eligio, i Santi Medici, l'Annunciazione, la Trinità, la Vergine in trono, S.Leonardo, SS Pietro e Paolo.
Il casale, fu con molta probabilità molto popolato, date anche le sue dimensioni oltre alle numerose strutture visibili tutt'oggi: numerose le grotte adibite ad abitazioni, stalle, frantoio ipogeo, magazzini.
Le abitazioni scavate nelle sponde rocciose della lama sono formate da un ambiente antistante più vasto che funge da atrio coperto per le attività comuni, dotato di sedili e di uno sfiatatoio per i fumi del fuoco nel soffitto piano. Una sezione laterale dell’atrio è adibita a ricovero per gli animali domestici ed è dotata di mangiatoia per il foraggio, di vasca per l’abbeverata e di maniglie litoidi per legarvi gli animali.
La grotta destinata a ‘trappeto’ contiene il frantoio ipogeo per la macinazione delle olive e la produzione di olio. La presenza di più grotte con frantoio fa ipotizzare una lavorazione non si limitata agli olivi della proprietà ma anche a servizio di coltivatori vicini. Le olive venivano riversate dall’alto, attraverso un foro nella volta rocciosa, nei capaci contenitori interni. La temperatura delle grotte, costante e senza variazioni significative durante l’anno, era ideale per l’elaiotecnica. Una grotta più grande era adibita a molino con due macine tuttora conservate. Essa presenta una facciata in muratura, con ampia porta centrale e due finestrelle ai lati. La parte posteriore è delimitata da due arcate divise da un pilastro centrale.
Mi piace molto questo luogo che parla di storia, cultura e integrazione tra fede e lavoro dei campi. E’ un luogo speciale, da proteggere e conoscere.
Facendo scelte per il nostro futuro, è importante avere conoscenza del passato. Oggi siamo quelli che siamo in questa società per cose successe prima di questo momento. Viviamo in una cultura in cui dimentichiamo cosa è successo 2 settimane fa. Per sapere chi sei e che scopo hai devi prima conoscere la tua storia.